ANSIA DA DISCONNESSIONE? FORSE SIETE NOMOFOBICI!

Oggi abbiamo deciso di riportarti questo interessante articolo tratto da IL CORPO DIGITALE.

Difficile non sentire un filo d’ansia quando l’autonomia del cellulare scende pericolosamente verso il basso e non abbiamo con noi il caricabatterie. O non sentirsi vagamente persi quando il display informa, inesorabile, che non c’è nessun servizio e siamo disconnessi da internet, magari pure dalla rete telefonica.

A quanti, poi, capita di mettere nervosamente la mano in tasca o in borsa per assicurarsi che lo smartphone sia ancora lì e non lo abbiamo dimenticato a casa o, peggio, ci sia stato rubato? In alcuni casi però il disagio e la paura di restare «tagliati fuori» perché non abbiamo il telefonino diventa fortissimo, al punto da poter essere quasi considerato una malattia: è il caso della NOMOFOBIA (dove «nomo» è l’abbreviazione di «no mobile») l’ansia da separazione da cellulare di cui si sono occupati di recente ricercatori delle università di Seoul e Hong Kong cercando di identificare le caratteristiche di chi è più a rischio. Non è (ancora) una patologia riconosciuta, ma secondo due ricercatori è destinata a diventarlo e comunque a diffondersi parecchio per colpa dell’uso che facciamo dei telefoni, diventati ormai una sorta di estensione di noi stessi: oltre a contenere messaggi e fotografie che sono di fatto la storia della nostra vita, sono anche la porta d’accesso ad app, siti, servizi a cui non ci sembra di poter fare più a meno.

«La tecnologia sta diventando più personalizzata e adattabile ai bisogni di ciascuno, attraverso app e caratteristiche che rendono ogni telefono sempre più unico; questo non fa che aumentare l’attaccamento all’oggetto — spiega Jang Hyun Kim, responsabile dello studio —. Sentire il telefono come un’estensione dell’io aumenta la probabilità che si sviluppi un’ansia da separazione, che non si riesca a tollerare di allontanarsi dallo smartphone neanche per pochi minuti».

Tutti siamo a rischio di diventare un po’ nomofobici, ma sono soprattutto gli adolescenti a infilarsi spesso in un rapporto distorto con lo smartphone: i disagi emotivi tipici del periodo, il bisogno di conferme dal gruppo, la scarsa autostima e le difficoltà nei rapporti sociali fanno sì che oltre alla paura di restare separati dalla propria propaggine digitale i ragazzi siano anche le più frequenti vittime del Fomo, acronimo per Fear of Missing Out. Il timore di essere tagliati fuori dalle comunicazioni con gli amici che li porta a dormire col telefono accanto al cuscino e a chattare fino a notte fonda, come spiega lo psichiatra Daniele La Barbera, presidente della Società Italiana di Psicotecnologie e clinica dei nuovi media (SIPTech): «Il telefono dà l’illusione di essere sempre accanto agli amici. Negli adolescenti il suono dell’arrivo di un messaggio su WhatsApp si associa a un incremento cerebrale della dopamina, il “messaggero” della gratificazione e del piacere. Tutto questo facilita l’instaurarsi di un attaccamento morboso all’oggetto, che può nascondere però grossi problemi nei rapporti con gli altri: il paradosso è che oggi i ragazzi, pur avendo innumerevoli mezzi per comunicare, riescono a entrare in relazione con il prossimo molto meno e peggio del passato. Tanti gruppi di WhatsApp per esempio nascono per aggregazione casuale e questo porta ad aberrazioni: non ci si conosce davvero, non si comunica realmente, così dinamiche di aggressività e bullismo sono sempre più difficili da arginare».

Non esistono stime sulla prevalenza della nomofobia, della Fomo o della dipendenza da cellulare in generale, che si manifesta con i sintomi delle prime due conditi da sindromi di astinenza vere e proprie, fino agli attacchi di panico da mancanza di telefono. Di certo, anche senza arrivare a una vera patologia, nei ragazzini l’uso problematico dello smartphone, oltre che più frequente, è pure più pericoloso.

«La perdita delle ore di sonno per stare in chat o sui social è il problema più rilevante, anche perché instaura un circolo vizioso: chi non dorme a sufficienza tende a cercare di più esperienze gratificanti e a sviluppare un comportamento compulsivo, che rafforza a sua volta l’uso smodato del telefono — fa notare La Barbera —. La carenza di riposo poi produce alterazioni globali del funzionamento cerebrale con disturbi di concentrazione e ansia.

La parola Nomofobia è la contrazione di «no mobile», che in italiano può essere tradotto «paura di restare senza telefonino» Che cosa accade nel cervello Negli adolescenti il suono dell’arrivo di un messaggio su WhatsApp si associa a un incremento cerebrale di dopamina, l’ormone del piacere

«Come accorgersi se un adolescente sta esagerando? Se fa fatica a separarsi dal telefono,anche solo per il tempo della cena, meglio drizzare le antenne. Soprattutto perché l’obiettivo deve essere la prevenzione di una vera dipendenza: una volta che si sia instaurata, infatti, è molto difficile da risolvere nonostante l’impiego di psicoterapia e in alcuni casi di farmaci. C’è invece spazio per agire nella “zona grigia” dell’utilizzo distorto e problematico: spesso e volentieri è sufficiente tornare a parlare con i figli per risolvere situazioni che paiono disperate, in cui i ragazzi sembrano assorbiti solo dal telefono. Abbassare il tenore dello scontro può bastare a riportare alla realtà i ragazzi. Minacciarli o togliere loro lo smartphone non serve, quando ci si arriva significa che la battaglia è persa».

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